L’emorragia vitreale generalmente tende a riassorbirsi nel tempo da sola ma quando questa persiste per molte settimane (a volte anche dopo sei settimane), per evitare che i prodotti di degradazione dei globuli rossi possano avere un effetto tossico sulla retina, si decide di sottoporre il paziente a un intervento chirurgico di vitrectomia via pars plana: l’intervento chirurgico di vitrectomia così come viene seguito oggi, con dei microstrumenti che sono diventati sempre più sottili e quindi meno aggressivi per l’occhio, non deve spaventare il paziente; è un intervento che può essere eseguito in 30/40 minuti e consiste nell’introdurre, all’interno dell’occhio, sia delle fibre illuminate per esplorare la cavità vitreale, sia dei microstrumenti e in particolare, all’inizio, un vitrectomo, cioè uno strumento che nello stesso tempo taglia e aspira il vitreo, che in questo caso è completamente ripieno di sangue.
La rimozione del corpo vitreo ematico, quindi dell’emovitreo, permette al paziente di ripristinare una buona visione.
Al trattamento della vitrectomia si deve associare, se si può e immediatamente, un cosiddetto endolaser: un trattamento laser intraoperatorio, per evitare che il paziente poi debba essere infastidito da molti trattamenti laser; con l’endolaser noi andiamo a trattare delle zone retiniche ischemiche, dove non arriva sangue e queste zone ischemiche produrrebbero, se non fossero trattate, un fattore cosiddetto “vasoproliferativo”, che si chiama “VEGF”: l’acronimo di Vascular Endothelial Growth Factor; questo fattore porterebbe alla formazione di nuovi vasi patologici dalla parete molto sottile e alterata, che potrebbero nuovamente sanguinare.