Nel corso degli anni, più frequentemente ma a volte anche in condizioni di normalità e in età giovanile, si può avere una grave complicanza retinica che consiste nell’occlusione della vena centrale della retina; esistono delle condizioni predisponenti che sono ovviamente la presenza, ad esempio, di un’aterosclerosi vasale ma esistono in particolare delle condizioni retiniche anatomiche che inducono con maggiore facilità l’incidenza di questa grave complicanza oculare; queste condizioni consistono nella presenza di cosiddetti incroci arterovenosi: l’arteria generalmente comprime la vena, ne rallenta il flusso e ne cambia anche la dinamica del flusso e in queste circostanze si può avere un’emorragia all’interno della retina, che si può estendere improvvisamente all’interno della cavità vitreale, ovvero di quella parte dell’occhio che abitualmente è occupata dal corpo vitreo (una sostanza gelatinosa); quando questo avviene, la perdita visiva del paziente è immediata ed è fortemente percepibile già nel caso di una trombosi venosa per la presenza di tante microemorragie retiniche ma è molto percettibile (tanto che il paziente si deve immediatamente recare da uno specialista di fiducia), qualora fossimo in presenza di un’emorragia vitreale, che generalmente tende a riassorbirsi nel tempo da sola ma quando questa persiste per molte settimane (a volte anche per sei settimane), per evitare che i prodotti di degradazione dei globuli rossi possano avere un effetto tossico sulla retina, si decide di sottoporre il paziente a un intervento chirugico di vitrectomia via pars plana e questo intervento, così come viene eseguito oggi, con dei microstrumenti che sono diventati sempre più sottili e quindi meno aggressivi per l’occhio, non deve spaventare il paziente; è un intervento che può essere eseguito in 30/40 minuti e consiste nell’introdurre, all’interno dell’occhio, sia delle fibre illuminate per esplorare la cavità vitreale, sia dei microstrumenti e in particolare, all’inizio, un vitrectomo, cioè uno strumento che nello stesso tempo taglia e aspira il vitreo, che in questo caso è completamente ripieno di sangue.
La rimozione del corpo vitreo ematico, quindi dell’emovitreo, permette al paziente di ripristinare una buona visione.
Al trattamento della vitrectomia si deve associare, se si può e immediatamente, un cosiddetto endolaser: un trattamento laser intraoperatorio, per evitare che il paziente poi debba essere infastidito da molti trattamenti laser; con l’endolaser noi andiamo a trattare delle zone retiniche ischemiche, dove non arriva sangue e queste zone ischemiche produrrebbero, se non fossero trattate, un fattore cosiddetto “vasoproliferativo”, che si chiama “VEGF”: l’acronimo di Vascular Endothelial Growth Factor; questo fattore porterebbe alla formazione di nuovi vasi patologici dalla parete molto sottile e alterata, che potrebbero nuovamente sanguinare.
Quando all’occlusione della vena centrale della retina o a volte anche dei suoi rami parziali, si associa una compromissione della parte più importante dell’occhio, della macula, ovvero la formazione di un edema maculare cistoide post trombotico, bisogna porvi rimedio, perché se questo non avviene, quella parte della retina (che è la più importante e che ci permette di vedere il mondo in maniera così nitida come noi lo conosciamo) si può altare in maniera definitiva.
In questo caso abbiamo però a disposizione alcuni strumenti parachirurgici e entriamo in quella che si chiama la “farmacochirurgia”: introduciamo all’interno dell’occhio (con una piccolissima iniezione che si può fare in anestesia locale senza alcun dolore per il paziente) una molecola che si chiama anti-VEGF, che riesce a inibire l’azione del VEGF, che da una parte stimola la produzione di nuovi vasi sanguigni patologici e allo stesso tempo fa sì che si formi un edema maculare che è ciò che noi non vogliamo avere; con l’anti-VEGF, dopo un mese e anzi, già dopo qualche giorno dall’inizio del trattamento, la retina, centralmente, comincia a ritornare nella sua condizione anatomica normale e a un ripristino dell’anatomia retinica centrale della macula corrisponde un propulsionale ritorno alla capacità visiva del paziente.
Oggi esistono delle altre metodiche che sono già state approvate per l’uso della stragrande maggioranza dei pazienti: queste metodiche consistono nell’introduzione, a livello dell’interno dell’occhio, quindi nella cavità vitreale, di piccoli microdispositvi, cosiddetti “impiantatili”, che rilasciano, lentissimamente, una frazione di una molecola cortisonica in maniera costante giorno per giorno e hanno il vantaggio di rilasciare questa molecola per alcuni mesi (ci sono alcune molecole che durano fino a sei mesi dall’impianto, evitando al paziente di doversi magari sottoporre nuovamente a un’altra iniezione di anti-VEGF) .
Il monitoraggio del paziente, ovvero il miglioramento della visione della condizione anatomica retinica, viene seguito, anche in questi casi, mediante un’OCT, cioè uno strumento che permette di visualizzare in vivo la retina del paziente con un dettaglio di qualche decimillesimo di millimetro.
Esistono altri dispositivi che stanno per essere liberalizzati, che permetteranno di mantenere per un periodo molto più lungo, qualora l’edema maculare post trombotico ritorni, una buona condizione anatomica, una buona condizioni funzionale.
I nuovi prodotti (sempre dei microimpianti, dei dispositivi biodegradabili nel tempo) possono durare dino a tre anni, quindi il paziente che ha sofferto di una trombosi venosa retinica e che ha patito purtroppo una diminuzione sostanziale della visione, non deve più avere paura: utilizzeremo un trattamento laser per evitare di avere delle recidive o perlomeno per evitare di avere nuovi sanguinamenti da nuovi vasi fragili; utilizzeremo gli anti-VEGF per ridurre immediatamente l’edema maculare che si è formato o utilizzeremo nuove tecnologie, molto stabili e molto sicure, che però si associano, qualche volta, a un aumento di pressione intraoculare o allo sviluppo di una cataratta, che essendo degli effetti potenzialmente collaterali non graditi, ne limitano ancora oggi il loro uso; ma il contenimento di questi due effetti collaterali e l’aumento della pressione possono avvenire quasi sempre con dei colliri e la rimozione chirurgica della cataratta, qualora dovesse insorgere, non rappresenta un problema per il paziente.
Pertanto l’invito è quello di rivolgersi immediatamente al proprio specialista di fiducia, di fare quegli esami diagnostici che sono, in questo caso, l’OCT e l’angiografia a fluorescenza e di sottoporsi, senza nessuna paura, a un trattamento iniettivo, a un trattamento laser o a un impianto intravitreale, laddove il vostro specialista dirà che ce n’è bisogno.
Ne va della vostra vista.