Glaucoma curato con la viscocanalostomia – Dr. Emiliano Ghinelli

Glaucoma: una nuova terapia

«Siamo con Emiliano Ghinelli, Direttore Scientifico dell’ILMO (Istituto Laser Microchirurgia Oculare) di Brescia, perché oggi parliamo della salute dei nostri occhi e in particolare di una patologia molto diffusa in Italia: il glaucoma, una malattia che può portare alla cecità.
Innanzitutto, dottore, che cos’è il glaucoma?»

«Il glaucoma è una patologia degli occhi che colpisce il 2-3% della popolazione, purtroppo; è molto diffusa, soprattutto tra le persone di età superiore ai 35 anni e questo, ovviamente, rende molto importanti la prevenzione e la visita oculistica.»

«Noi a breve parleremo proprio delle terapie chirurgiche mininvasive ma prima di tutto, dottor Ghinelli, come si riconosce il glaucoma? La vista come appare?»

«La patologia del glaucoma è contraddistinta prevalentemente da tre grossi ambiti di diagnosi: il primo è il più importante ed è la misura della pressione intraoculare, poi la stima del danno sul nervo ottico che il glaucoma provoca (e questo si misura con l’OCT, un’indagine di imaging molto diffusa) e il terzo canale di indagine è il campo visivo, perché il glaucoma lo riduce.»

«Stiamo vedendo anche delle immagini che un po’ ci mostrano la visione di una persona che vede bene e poi man mano il campo visivo che si restringe sempre di più: è proprio questo a cui andiamo incontro con il glaucoma?»

«Purtroppo quando il paziente si accorge della riduzione del campo visivo, quindi di avere una visione tubulare, non se ne accorge in senso tecnico ma se ne accorge in senso lato, ovvero: manca uno scalino, manca un corrimano, urta la macchina sempre nello stesso punto, sempre sulla stessa colonna (questi ovviamente sono esempi), quindi non sa che si sta riducendo il campo visivo ma lo sappiamo noi quando lo andiamo a misurare e a studiare.»

«Io dico sempre che ci dimentichiamo dei nostri occhi e della loro salute e ce ne ricordiamo solo quando iniziamo a non vederci più, però è importante fare caso a dei sintomi che ci fanno capire chiaramente che stiamo andando incontro alla perdita della nostra vista.»

«In generale per le malattie oculari questo è vero ma per quanto riguarda il glaucoma purtroppo, quando ci rendiamo conto di una riduzione del campo visivo, è troppo tardi, quindi in senso stretto il glaucoma non dà segno di sé e bisogna stare molto attenti sia ai fattori di rischio di cui poi parleremo, ma soprattutto alla prevenzione, dunque alla diagnosi precoce e alle sane abitudini di vita.»

«Come si deve fare prima che il glaucoma faccia danni?»

«La cosa più importante come dicevo prima, in assenza dei fattori di rischio che sono noti (cioè la razza, l’età, le malattie sistemiche, il diabete, la miopia e la genetica), c’è anche una cosa che si chiama “familiarità” e che ha una grossa incidenza nell’ambito della prevenzione della salute dei propri occhi, quindi un paziente che sa di avere un parente affetto da glaucoma dovrebbe farsi un controllo almeno ogni anno, se non ogni sei mesi; questa è l’unica arma.»

«Quindi ogni quanto dovremmo far controllare i nostri occhi all’oculista?»

«Come norma generale una volta all’anno è indicatissima la visita oculistica; per chi ha un parente affetto da glaucoma o per chi ha uno o più fattori di rischio per il glaucoma, anche ogni sei mesi.»

«C’è un’età?»

«L’età a rischio è abbastanza eterogenea, la letteratura è abbastanza discordante su questo fattore; si sa che il glaucoma, se non è congenito, quindi se non colpisce il neonato alla nascita, può colpire sopra i 35 anni.»

«Anche la misurazione della pressione è fondamentale? Come si esegue la diagnosi?»

«La diagnosi è proprio questo trittico, quindi è pressione intraoculare, studio della testa del nervo ottico (o papilla ottica), che è dove emerge il nervo ottico, e qui abbiamo un modellino: il nervo ottico nasce da qua, raccoglie tutte le fibre nervose provenienti dalla retina e si avvia verso il cervello; questo luogo anatomico è conosciuto come “papilla ottica”, “testa del nervo ottico” o “emergenza del nervo ottico”.
Lo studio della papilla ottica, quindi dell’emergenza del nervo ottico, insieme con la pressione intraoculare e il campo visivo fanno diagnosi di glaucoma, perché si trova una pressione anche borderline, anche normale in certi casi, quindi è molto importante che l’oculista guardi attentamente il fondo dell’occhio e guardi attentamente l’anatomia della papilla ottica. Una volta che all’oculista viene il sospetto che la papilla ottica non sembri anatomicamente normale, vuole vedere se patologicamente sia affetta da qualcosa e fa un’indagine che si chiama OCT, che è indolore e che si esegue in trenta secondi grazie alle macchine evolutissime che ci permettono una diagnosi con poco più di una fotografia. Poi si esegue un campo visivo.
L’oculista con questi tre dati in mano può comprendere la pressione e ci sono anche casi conosciuti che si chiamano “low tension glaucoma”, quindi un glaucoma a bassa pressione.»

«Voi avete riscontrato che anche quelle persone con la pressione oculare abbastanza bassa, oppure borderline, possono essere affette da glaucoma.»

«Ci sono degli studi mondiali sul low tension glaucoma che dimostrano che anche una pressione normale non protegge da glaucoma, quindi è importante questa triade: misura della pressione, campo visivo e OCT della papilla ottica.»

«Parliamo delle terapie: per curare tutto questo (e poi arriveremo anche alle ultime terapie all’avanguardia che voi utilizzate all’ILMO) quali sono le terapie?»

«Le terapie per curare il glaucoma si possono dividere in tre grandi gruppi: quella medica, quella laser e quella chirurgica.
La medica è, nei paesi come i nostri (come l’Italia e alcune nazioni del Nord Europa) la prima linea di terapia, quindi l’oculista prescrive un collirio da assumere due volte al giorno o una volta al giorno (a seconda del livello di patologia iniziale, questo è molto importante da definire con il proprio oculista di fiducia); il problema non si risolve ma si controlla e questo non vuol dire che il paziente sia libero dai controlli, al contrario, e non molti utilizzano questa terapia nonostante sia stata prescritta, perché magari molti anziani non lo fanno essendo a casa da soli e noi lo notiamo perché vediamo peggiorare alcuni parametri e gli esami ci possono dire se il paziente non mette il collirio o se la terapia del collirio non è sufficiente per poi attuare linee superiori di trattamento.
Poi c’è il trattamento del laser, e qui dobbiamo prendere nuovamente il nostro modellino: uno dei più diffusi è l’esecuzione di un piccolo forellino qui, in corrispondenza dell’angolo irido-corneale, tra l’iride (che è la parte colorata dell’occhio) e la cornea (che è il primo vetrino che attraversa la luce); siccome questo spazio molto spesso viene ridotto dal glaucoma, che spinge qui dentro, che riduce gli spazi, e anche dall’anatomia stessa (perché ci sono alcune anatomie particolarmente predisponenti all’ipertono oculare), l’esecuzione di un forellino avviene proprio qui dove sto indicando adesso, e l’esecuzione si chiama “iridotomia” (si esegue, appunto, con il laser). Ciò aumenta le vie di deflusso della principale causa di glaucoma, che è l’aumento della produzione dell’umore acqueo o la diminuzione del deflusso dell’umore acqueo e quindi l’iridotomia è una linea parachirurgica di trattamento che aumenta le vie di deflusso dell’umore acqueo e quindi contribuisce a far calare la pressione.»

«Allora il glaucoma, come abbiamo detto all’inizio, può portare alla cecità ma oggi ci sono delle nuove tecniche chirurgiche, ci sono delle novità.»

«Per quanto riguarda le novità faccio una piccola premessa ed è una storia divertente che racconto anche ai miei pazienti: io come prima cosa non ho imparato gli interventi sul glaucoma ma ho imparato l’intervento di trapianto di cornea, poi la chirurgia di cataratta e le chirurgie fatte con il laser. In età, diciamo chirurgicamente più adulta, un mio professore carissimo un giorno mi chiamò, ci incontrammo in un congresso e mi disse che aveva inventato un nuovo intervento per curare il glaucoma; io rimasi un po’ stupito perché nei congressi non l’avevo sentito molto declamare e l’intervento era quello della viscocanalostomia; andai a Johannesburg (Sudafrica), in un posto dove il glaucoma è endemico, quindi i bambini nascono con il glaucoma e la diagnosi è semplice perché si vede un occhio bianco dalle dimensioni abnormi e un occhio normale; diventa molto complicato operare il glaucoma congenito, però il professore ha sviluppato questa tecnica, appunto la viscocanalostomia, per agire su casi disperati come quello.»

«E come funziona questo intervento?»

«Tanto per cominciare è mininvasivo. In parole semplici consiste nella creazione di un piccolo sportellino sulla sclera (la parte bianca dell’occhio) e con l’uso di questo sportellino si accede alle vie interne di deflusso dell’umore acqueo, che sono posizionate anatomicamente a questo livello. Precisamente si arriva al canale di Schlemm, che è l’inizio delle vie di deflusso dell’umore acqueo; dato che il glaucoma è un disequilibrio tra la produzione di umore acqueo, che avviene in questa zona anatomica, e il deflusso dell’umore acqueo, che avviene in questa zona anatomica, il ripristino delle vie di deflusso è molto importante nella cura del glaucoma, quindi in questa tecnica chirurgica si raggiunge la principale via di deflusso dell’umore acqueo (che è il canale dello Schlemm) dove punta la freccia adesso, il canale dello Schlemm viene esposto, quindi il chirurgo lo vede davanti a sé e quando lo raggiunge la microdissezione viene eseguita dal chirurgo a 250 ingrandimenti, quindi ogni piccolo movimento del chirurgo corrisponde quasi al passo di 1 metro); il chirurgo deve stare molto attento perché la tecnica è molto fine a livello chirurgico: basta un piccolo movimento sbagliato e si perfora il canale dello Schlemm, compromettendo l’intervento, quindi la curva di apprendimento del chirurgo è particolare.»

«Parliamo del postoperatorio e dopo quanto tempo il paziente torna a casa.»

«La tecnica è mininvasiva perché quando si raggiunge questo canale, dopo averlo espanso, si mette all’interno una cosa molto simile agli stent usati per le coronaropatie, si inserisce proprio una guida intorno a una piccola retìna che noi chiamiamo expanders (espansori), questi espansori si inseriscono a 360° in quel luogo anatomico che abbiamo visto prima, il chirurgo chiude la sclera e chiude la congiuntiva.
Il paziente (che può essere di qualsiasi età, anche gli anziani) subisce un’anestesia locale e l’intervento dura dai 20 ai 40 minuti; a seconda dei casi il postoperatorio consiste in due ore di osservazione da parte del personale infermieristico; la terapia postoperatoria consiste in farmaci antibiotici e antinfiammatori logicamente, perché è sempre un intervento seppur mininavsivo e la cosa incredibile è che non controlla il glaucoma ma lo guarisce: si entra malati e si esce guariti. Nel postoperatorio, mesi dopo, ore dopo o anche anni dopo, il chirurgo senza fare nulla, con una lente speciale posta a contatto della corna, può visualizzare dall’esterno la posizione di questo canaletto, di questo espansore e il suo funzionamento.»

«Possiamo dare dei consigli per proteggere i nostri occhi, per curarci un po’ di più?Perché arriviamo a una certa età, anche intorno ai 40 anni, senza visitarci e poi iniziamo a veder male.»

«Il primo consiglio, scusate la ridondanza, è sottoporsi a visite oculistiche almeno una volta all’anno; poi è stato provato scientificamente l’aiuto di sostanze antiossidanti a livello del sistema visivo e anche di frutta e verdura particolarmente ricche di vitamine; il loro è un ruolo molto importante nel corretto funzionamento, nella fisiologia dell’apparato visivo.»

«E poi anche usare sempre gli occhiali da sole non fa male.
Grazie al dottor Emiliano Ghinelli.»